Stagione 2019-2020

Storie scellerate

Regia: Sergio Citti
Soggetto: Sergio Citti, Pier Paolo Pasolini
Sceneggiatura: Sergio Citti, Pier Paolo Pasolini
Montaggio: Nino Baragli
Fotografia: Tonino Delli Colli
Scenografia: Dante Ferretti
Costumi: Danilo Donati
Musiche: Francesco De Masi
Interpreti e personaggi: Silvano Gatti (Duca di Ronciglione), Enzo Petriglia (Nicolino), Sebastiano Soldati (Il papa), Santino Citti (Il Padreterno), Giacomo Rizzo (Don Leopoldo), Gianni Rizzo (Il cardinale), Ennio Panosetti (Chiavone), Oscar Fochetti (Agostino), Fabrizio Mennoni (Cacchione), Elisabetta Genovese (Bertolina), Franco Citti (Mammone), Ninetto Davoli (Bernardino), Nicoletta Machiavelli (Caterina di Ronciglione)
Produzione: Italia, 1973
Durata: 93 min

 

 

Nella Roma papalina dell'Ottocento Bernardino e Mammone vengono catturati e condannati a morte per aver ucciso e derubato un uomo. In cella i due raccontano alcune storie per scontare le ore che li separano dal patibolo ...

L’idea originale era quella di usare due novelle del Boccaccio, già sceneggiate da Citti e Pasolini per il Decameron ma poi tagliate in sede di realizzazione. Quando Pasolini decide di non girare il film ma di passare la regia a Citti, che aveva già ben debuttato in Ostia, l’idea si modifica radicalmente e il taglio del racconto si fa molto più estremo. Pare che l’idea venga al produttore Alberto Grimaldi che vuole sfruttare il successo commerciale del Decameron e, per far questo, suggerisce di cambiare ambientazione: non più quell’età intermedia tra Medio Evo e Rinascimento ma la Roma papalina (1800), così come la fonte del racconto non è Giovanni Boccaccio ma Matteo Bandello.

Storie scellerate esce in pieno periodo decamerotico, ma se ne distacca nettamente. E' un film molto curato da un punto di vista scenografico e fotografico, girato da una troupe pasoliniana che vede all’opera gente come Nino Baragli (montaggio), Tonino Delli Colli (fotografia), Dante Ferretti (scenografo) e Francesco De Masi (musica). Soggetto e sceneggiatura sono di Pasolini e Citti, ormai coppia affiatata, che si abbeverano alla fonte del Bandello per legare tra loro storie di mogli traditrici, mariti sciocchi e frati impenitenti, con un taglio cupo e sanguigno che lo rende ben diverso dai prodotti cinematografici pensati dopo il Decameron. Non esiste sesso gioioso e ilare nel film di Citti: tutto finisce nel sangue e in qualche aberrante evirazione, sono storie senza speranza, che soltanto nel finale lasciano aperto uno spiraglio, quando Dio concede la salvezza soltanto a chi dimostra di rimpiangere la vita. La risata di Franco Citti e Ninetto Davoli, un vero e proprio sghignazzo irrefrenabile prima dell’impiccagione, salva il film dal cupo pessimismo di cui è intriso.

"Sergio Citti crede solo, come personaggi, negli uomini e nelle donne che non credono, come lui: e che quindi vivono nel mondo come in una ridicola mascherata, o in un deserto, o, appunto, in una città crollata o crollante. Roma intorno è un nulla chimerico e spregevole. I personaggi vi si muovono sapendolo. Non si aspettano assolutamente ‘niente' dalla società. Si arrangiano come possono, prendono dalla vita quello che riescono. È il loro pessimismo assoluto e totale che consente loro di essere allegri. Proprio come Sergio Citti" (Pier Paolo Pasolini).

Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda

Regia: Mariano Laurenti
Soggetto: Tito Carpi, Luciano Martino
Sceneggiatura: Tito Carpi, Carlo Veo
Montaggio: Giuliana Attenni
Fotografia: Clemente Santoni
Scenografia: Antonio Visone
Costumi: Oscar Capponi
Musiche: Bruno Nicolai
Trucco: Angelo Natalucci
Interpreti e personaggi: Edwige Fenech (Ubalda), Pippo Franco (Olimpio de' Pannocchieschi), Umberto D'Orsi (mastro Oderisi), Karin Schubert (Fiamma), Pino Ferrara (frate manesco), Gino Pagnani (mastro Deodato, fabbro ferraio), Alberto Sorrentino (notaio Adone Bellezza), Renato Malavasi (medico), Dante Cleri (pittore Cantarano Da Nola), Ermelinda De Felice (nutrice di Fiamma), Gabriella Giorgelli (ragazza nel fienile)
Produzione: Italia, 1972
Durata: 91 min

Olimpo, marito di Fiamma, mira al letto di Ubalda, moglie di Oderisi, ma i suoi tentativi vanno a vuoto, non certo a causa della virtù della donna. Sorte non migliore hanno le iniziative, per rivincita, di Oderisi verso la moglie di Olimpo. Al che, i due uomini firmano un apparente armistizio, ma le conseguenze saranno per entrambi molto pesanti. Le buone signore, invece, se la godono con gli amanti.

"Il titolo di questo film è diventato un pezzo di storia italiana. Eccezionale nella descrizione di un’atmosfera, tenero nella rappresentazione di un personaggio colto nella sua essenza, il titolo è più del film, un cult-title al quale sono seguite inopinate e imparagonabili imitazioni. Leggendo quelle poche, intense parole si ha subito un’idea del plot dell’opera, del suo fitto e complesso intreccio narrativo. Si entra in una storia di personaggi minuti, in questo presepe minimalista reso ancor più poetico dalla sofferta interpretazione di Pippo Franco. Lei è una intensa Edwige Fenech che dà il volto a «quel gran pezzo dell’Ubalda », un personaggio alla Truffaut. I cinema furono affollati di un pubblico avido di emozioni minute, severo ma capace di cogliere la novità di costume rappresentata da quel film sincero e irriverente. Erano gli anni della svolta a destra, del governo Andreotti-Malagodi e dunque la mitica Ubalda ha anche aiutato a sconfiggere risorgenti integralismi bacchettoni e a dislocare verso equilibri più avanzati il comune senso del pudore."
Walter Veltroni - Certi piccoli amori. Dizionario sentimentale di film

Nei primi anni '90, forti della rivalutazione veltroniana, ne tentano un remake Galliano Juso ed Enrico Ghezzi con il titolo fuorioriaristico "Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta (ri)nuda e tutta (ri)calda". Ovviamente non si girerà mai. 

Marco Giusti - Dizionario dei film italiani Stracult  

 

Ombre

Titolo originale: Shadows
Regia: John Cassavetes
Soggetto e Sceneggiatura: John Cassavetes
Fotografia: Erich Kollmar
Montaggio: Len Appelson, Maurice McEndree
Musiche: Charles Mingus (assolo al sax di Shafi Hadi), canzoni di Jack Ackerman, Hunt Stevens e Eleanor Winters
Scenografia: Randy Liles e Bob Reeh
Interpreti e personaggi: Lelia Goldoni (Lelia), Ben Carruthers (Ben), Hugh Hurd (Hugh), Anthony Ray (Tony), Rupert Crosse (Rupert), Tom Reese (Tom) Dennis Sallas (Dennis), David Jones (Davey), David Pokitillow (David)
Produzione: USA, 1959
Durata: 79 min

 

 

Manhattan, anni '50. Hugh, Leila e Ben sono tre fratelli afroamericani. Hugh, il maggiore, di pelle nera è un cantante di night club in declino. Ben, il fratello minore, e Lelia, la sorella, hanno probabilmente un poco di sangue bianco e per bianchi possono essere scambiati. Ben, ragazzo sbandato, aspira a suonare la tromba ma impiega la maggior parte del tempo a girovaghare con gli amici per la città. Leila ha aspirazioni superiori frequentando circoli intellettuali, ma dopo un sfortunata avventura con un bianco accetta la corte di un ragazzo dalla pelle nera.

La genesi e la storia del film Shadow iniziano nel 1957, allorche’ il giovane John Cassavetes fu chiamato alla Radio a fare da testimonial in una trasmissione notturna per pochi nottambuli ad un film che aveva appena finito di girare come attore (il titolo italiano del film è “Nel fango della periferia”). In quella occasione Cassavetes si dimentica (o fa finta di dimenticare) ben presto i sui obblighi promozionali e utilizza lo spazio e il tempo concessigli per lanciare un appello: “«Pensate a quanto sarebbe bello», dice agli ascoltatori, «se a fare film fosse la gente qualunque, e non quei parrucconi di Hollywood che pensano solo al business». E aggiunge: «Volete un i film che parli di cose vere, di gente vera? Non avete che da mandarmi i soldi perché ve lo faccia io». La colletta frutterà duemila dollari. Ce ne sarebbero voluti molti altri per produrre e girare Shadow, ma ormai la pista era stata aperta. Esplicitamente Cassavetes aveva criticato Hollywood coi suoi “parrucconi” ed aveva indicato il suo ideale di cinema, che dovra’ parlare di gente vera, della vita, della realta’ quotidiana.

Girato con uno stile jazzistico, con dialoghi e scene improvvisate (il film si chiude con la scritta: «The film you have just seen was an improvisation»), la pellicola tratta il tema delle relazioni interrazziali negli anni della Beat Generation a New York. Cassavetes girò il film due volte, una prima volta nel 1957 e di nuovo nel 1959. La seconda versione era quella preferita dal regista; la prima versione fu comunque proiettata, ma si persero poi le tracce dell'unica copia originale, che per decenni fu creduta persa o distrutta. Nel 2004, dopo anni di ricerche, Ray Carney, professore della Boston University e studioso di Cassavetes, la ritrovò in una scatola abbandonata in metropolitana, insieme ad altri oggetti smarriti con cui era probabilmente stata acquistata.

Self-Portrait in Three Colors è il titolo che Mingus - negro di pelle chiara che nella delirante autobiografia "Beneath the Underdog" ("Peggio di un bastardo") si è raccontato schizzofrenicamente come "un uomo in tre" - ha dato alla breve suite ricavata dal commento al film (invero sconfessato a posteriori ). E sono tre le sfumature della pelle dei fratelli di Ombre, digradanti da quella nerissima di Hugh (Hugh Hurd) a quella piuttosto chiara di Ben (Ben Carruthers) a quella quasi bianca di Lelia (Lelia Goldoni): le tre maschere di un paradosso scenico che li vuole - come in una rediviva Commedia dell'Arte - coinvolti in un indifferenziato scambio delle parti con gli amici, bianchi e meri, fino all'agnizione finale. Il film risulta marcato proprio da questo continuo sfaccettarsi delle apparenze (le ombre), dal poliedrico strutturarsi di un collettivo assai eterogeneo, il cui composito crogiuolo vuol essere l'emblema stesso della precarietà. In esso confluiscono, mescolandosi tra loro, le esperienze e le culture di un coro di personaggi accomunati dal caso e dalle contingenze di una gioventù senza costrutto ("assurda", fu definita), spesa preferibilmente lungo un brandello di Manhattan, dal capolinea del Port Authority Bus a Central Park. Convegni nei bar, vagabondaggi, festicciole, chiacchiere: questi i riscontri evenemenziali di giornate balorde che aggregano in una disinvolta promiscuità, al di là del referente razziale, le sparse propaggini di una generazione disorientata. II plot del dramma familiare di Hugh-Ben-Lelia in fondo una meditatíon on integration, per usare un famoso titolo di Mingus - risulta comunque subordinato all'idea più generale di esporre cronachisticamente uno spaccato dell'alienazione giovanile, attraverso lo scrutinio dei comportamenti individuali-collettivi e la polifonia di voci-volti in evoluzione: una geografia dello spaesamento, un'anatomia della parcellizzazíone sociale. La stessa famiglia composta da Hugh-Ben-Lelia non è un nucleo compatto: i tre fratelli non hanno solo pelle differente, ma esperienze differenti e l'occhio di Cassavetes segue il loro dipanarsi lungo i labimti della città fino ad individuare un possibile punto di convergenza nell'appartamento in cui vivono da diversi, se non da estranei. Ma anch'esso si apre alle intrusioni esterne, al pullulare delle voci altrui al debordare dell'inferno circostante, si satura del frastuono in agguato, e diventa talvolta palcoscenico grottesco, circo stravagante. Già da Ombre è a questa decantazione finale che tendono i sedimenti drammatici cassavetesiani, anche se non è ancora elaborata appieno l'estetica della "carnevalizzazione", databile a partire da Faces.
Sergio Arecco, Cassavates, Il Castoro Cinema, ottobre 1980

Minnie e Moskowitz

Titolo originale: Minnie and Moskowitz
Regia: John Cassavetes
Soggetto e Sceneggiatura: John Cassavetes
Fotografia: Alric Edens, Michael D. Margulies e Arthur J. Ornitz
Montaggio: Frederic Knudtson
Musiche: Bo Harwood
Interpreti e personaggi: Gena Rowlands (Minnie Moore), Seymour Cassel (Seymour Moskowitz), Val Avery (Zelmo Swift), Timothy Carey (Morgan Morgan), Elsie Ames (Florence), Lady Rowlands (Georgia Moore), Katherine Cassavetes (Sheba Moskowitz), John Cassavetes (Jim)
Produzione: USA, 1971
Durata: 114 min

 

 

 

 

Seymour Moskowitz, baffoni e capelli lunghi, fa il guardamacchine in un parcheggio sotterraneo di New York. Passa il tempo libero andando al cinema (lo vediamo mentre assiste al film Il mistero del falco) e girando per locali. Una sera, in uno di questi, dove cerca di corteggiare una donna irlandese viene cacciato in malo modo e picchiato. Stufo della città, chiede alla madre di aiutarlo per poter ricominciare la vita a Los Angeles. Minnie Moore è una donna raffinata, con una bella casa, che lavora in un museo di Los Angeles ma non familiarizza granché con gli uomini. Con una collega più anziana di lei vanno a vedere Casablanca, è quasi un rito ricorrente. Queste due solitudini così diverse si incontrano e ...

E' il film più saltellante e strafottente di Cassavetes. La battaglia dei sessi la si gioca alla pari, fra due 'spostati' che non sanno di esserlo, e lo scoprono nel momento in cui - dopo essersi fortunosamente incontrati - capiscono che non possono non convivere. Due uguali, prima quasi nemici (lei snob e intellettuale, lui cafone alla maniera hippie). Il parallelo amore per il cinema e per Humphrey Bogart collega argutamente Cassavetes ai maestri della "screwball comedy" e a Howard Hawks in particolare, e lo mette in condizione di criticare la compostezza divistica della Hollywood che affidava le sue storie d'amore ai fantocci eleganti di Laureen Bacall e di Bogard.
"Ed è proprio anatomizzando e parodiando - commenta Raymond Carney - le vecchie forme dell'amore hollywoodiano che Cassavetes acquista l'autorità per proporre la possibilità di una alternativa a Bogart e Bacall. Solo attarverso una meticolosa dissezione, una sistematica derisione e un rifiuto netto di quel falso glamour, il nostro può crearsi uno spazio cinematografico per quel diversissimo glamour che nasce dalla delicata, instabile, fragile accoppiata Seymour-Minnie".

Minnie e Moskowitz è anche un velato autoritratto della relazione tumultuosa tra Cassavetes e Gena Rowlands, e di molti aspetti del rapporto del regista con la madre all'epoca in cui corteggiava la futura moglie. La sovrapposizone tra arte e vita è profondamente intessuta nel film (dove Minnie somiglia alla Rowlands, Seymour e Jim hanno tratti in comune con il regista e il rapporto tra Sheba Moskowitz e il figlio ha molti punti di contatto con quello tra Katherine e John Cassavetes prima che quest'ultimo riuscisse a sfondare come attore). Le differenze tra le personalità e i trascorsi di Minnie e Seymour rispecchiano quelle tra i caratteri di Cassavetes e della Rowlands e tra le rispettive situazioni all'epoca del loro incontro. La Rowlands era sensibile, signorile e tranquilla; Cassavetes era chiassoso, bizzarro e impulsivo fino all'eccesso. Lei proveniva effettivamente da una famiglia e da un'ambiente più "altolocati" rispetto a quelli di lui, e all'inizio aveva respinto le sue avances. Era anche lei molto legata alla madre. E, almeno in un primo tempo, anche nella realtà le due madri erano convinte che i figli non fossero fatti l'uno per l'altra. La gelosia irrazionale di Jim riecheggia quella di Cassavetes durante il corteggiamento. La madre del regista, quando il figlio era giovane, lo riteneva davvero una specie di "barbone", uno "senza ambizioni". Perfino dettagli in apparenza secondari sono in realtà autobiografici: il fatto che Seymour sia stonato è un richiamo ironico all'insicurezza di Cassavetes riguardo alle proprie doti canore; l'imbarazzo di Minnie di fronte ai vestiti di Seymour è ispirato a momenti simili tra la Rowlands e Cassavetes nei primi anni di matrimonio, quando lui era famoso per il suo aspetto trasandato; il fatto che Minnie porti sempre gli occhiali da sole riecheggia una passione della stessa Rowlands, che li indossava ovunque, anche di notte.
Invece di seguire le procedure standard, impersonali, professionali tipiche di uno studio, Cassavetes personalizzò ogni aspetto della creazione del film. Tanto per cominciare, il cast non fu composto da "professionisti" ma da familiari e amici. Cassavetes usò casa sua e quelle degli amici come set. La cucina di Jim è la cucina di casa del regista; la camera da letto di Minnie è quella della coppia; l'appartamento di Florence è quello di Seymour Cassel. La lavorazione del film non seguiva norme professionali, perché il cinema per Cassavetes non era una professione: lo scopo era essere a proprio agio e rilassati, circondati da amici, e per questo era meglio l'arte.

Ray Carney - John Cassavets Un'autobiografia postuma - Minimum Fax

Una moglie

Titolo originale: A Woman Under the Influence
Regia: John Cassavetes
Soggetto e Sceneggiatura: John Cassavetes
Fotografia: Mitch Breit, Al Ruban
Montaggio: David Armstrong, Sheila Viseltear
Musiche: Bo Harwood
Scenografia: Phedon Papamichael, Kevin Joyce, Steve Hitter
Interpreti e personaggi: Peter Falk (Nick Longhetti), Gena Rowlands (Mabel Longhetti),      Fred Draper (George Mortensen), Lady Rowlands (Martha Mortensen), Katherine Cassavetes (Margaret Longhetti), Matthew Laborteaux (Angelo Longhetti), Matthew Cassel (Tony Longhetti), Christina Grisanti (Maria Longhetti),   O.G. Dunn (Garson Cross), Mario Gallo (Harold Jensen), Eddie Shaw (dottor Zepp)
Produzione: USA, 1974
Durata: 155 min

 

 

 

La famiglia Longhetti è composta da Nick, un capocantiere di origine italiana, dalla moglie Mabel e dai figlioletti Tony, Angelo e Maria. Il lavoro, soggetto a necessità imprevedibili, tiene Nick lontano da casa e a volte gli impedisce di mantenere le promesse fatte. Un giorno, infatti, quando Mabel lo attende tutta sola dopo avere affidati i figli alla suocera, Nick viene chiamato per un soccorso e irrompe in casa, stanco e nervoso, accompagnato da tutta la squadra di operai affamati. La tensione, la difficoltà di rispondere alle richieste del marito a sua volta con i nervi a fior di pelle, portano Mabel al collasso psichico. Dopo una scena molto drammatica, il dr. Zepp, amico di famiglia, riesce a ricoverare la donna in clinica neuropatica. Sei mesi dopo, mentre si attende il ritorno di Mabel, Nick raccoglie in casa una sessantina di persone; poi accetta i consigli dell'allarmata nonna Longhetti; quindi tiene in casa i soli intimi. Mabel che fa ogni sforzo per dimostrarsi "normale", finisce per dare l'impressione che la guarigione non sia avvenuta. Allontanati anche gli intimi, Nick e Mabel quasi combattono una battaglia domestica nella quale per fortuna un ruolo catalizzatore viene sostenuto coraggiosamente e istintivamente dai tre piccoli.

Grande film d'amore e di follia, sulla follia come differenza e rivolta. Importante film sul malessere della società americana vista attraverso la famiglia e la coppia. La parte che precede il finale "lieto" (ma problematico) è di straordinaria forza emotiva tra il tenero e il feroce. G. Rowlands e P. Falk fuori dal comune. Se ne accorsero persino a Hollywood, dove J. Cassavetes autore è sempre stato sottovalutato: due nomination agli Oscar per la regia e G. Rowlands.
Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli

Una moglie nacque come opera teatrale, in cui avrebbero dovuto recitare Gena Rowlands e Ben Gazzara. La Rowlands gli aveva chiesto qualcosa per rilanciare la sua carriera di attrice, e Cassavetes la accontentò scrivendo tre lavori teatrali collegati tra loro (ogni lavoro doveva presentare la storia dal punto di vista di un personaggio diverso) e da rappresentare in successione, uno per serata. L'idea fu respinta senza esitazioni da tutti i finanziatori in quanto commercialmente insostenibile. Da qui la necessità di trasformare le tre opere in un unico film, ma questo non risolse i problemi finanziari. A complicare ulteriormente la situazione c'era il fatto che, nell'anno in cui Cassavetes aveva cercato di ottenere finanziamenti per le tre opere teatrali, Ben Gazzara aveva iniziato un altro progetto, e il regista si trovava ora senza un protagonista maschile "spendibile". Ma era nella sua natura andare avanti lo stesso, a tutta velocità. A poche settimane dall'inizio delle riprese non aveva ancora né i soldi né un attore protagonista. In suo soccorso arriva Peter Falk, i due erano diventato amici intimi ai tempi di Mariti, che accetta la parte di Nick e mette metà dei 250.000 dollari necessari per l'inizio delle riprese (alla fine il film costò più di quattro volte la cifra iniziale). 

Una moglie sarebbe stato funestato da problemi finanziari per tutta la durata della lavorazione. Una settimana prima dell'inizio delle riprese si scopre che non ci sono i soldi per comprare la pellicola. La risposta di Cassavetes è significativa: "Il primo novembre avremo gli attori, avremo la troupe, avremo le luci, avremo una cinepresa su un treppiede, e non me ne frega niente se non c'è la pellicola. Cominceremo a girare questo film!" La notte di Halloween, quella precedente all'inizio previsto per le riprese, comparvero misteriosamente circa tremila metri di pellicola (due ore). Da dove siano saltate fuori nessuno è mai riuscito a spiegarlo in maniera soddisfacente, ma secondo una teoria Seymour Cassel o qualcun altro andarono in uno studio porno della San Fernando Valley e riuscirono a farsi dare due ore di avanzi di pellicola provenienti da bobine già utilizzate.

Notizie tratte da John Cassavetes - Un'autobiografia postuma di Ray Carney