Moravia nel Cinema
Moravia nel Cinema
Ebbene sì, lo ammetto. Questa volta sono in ritardo.
Questo è un omaggio che andava fatto l'anno scorso in cui ricorreva il centenario (nel novembre per la precisione) della nascita di Alberto Moravia, ma il tempo e le circostanze non l'hanno permesso.
Cercherò di rimediare con questo ciclo che opera una scelta tra i 29 film che ho contato tratti dai suoi romanzi e racconti.
Se il cinema ha attinto da Moravia è altrettanto vero che lo scrittore è stato influenzato dal cinema e dalle arti visive (il padre era architetto e pittore) come si comprende da alcune sue dichiarazioni: "agli inizi della mia carriera di scrittore non riuscivo a mettere in croce due ragionamenti, mi esprimevo solo per immagini e dialogo, avevo, insomma, un’altissima capacità rappresentativa e quasi nessuna riflessiva". E' sempre lo stesso Moravia a dire: "il cinema e la pittura hanno una grande influenza sulla mia narrativa perché vivo molto attraverso gli occhi".
Alberto Pincherle (Moravia è il cognome della nonna paterna) nacque il 28 novembre 1907 a Roma da una benestante famiglia borghese. Terzo di quattro figli, non riuscì a compiere studi regolari perché all'età di nove anni venne colpito da una seria forma di tubercolosi ossea che lo costrinse a letto per ben cinque anni. Ragazzo di viva intelligenza, non potendo condurre la vita dei ragazzi della sua età, ebbe molto tempo per la lettura alla quale si dedicò con fervido impegno e profonda passione, formandosi così una solida base letteraria allargata alle più significative tendenze della cultura europea. Tra i suoi autori preferiti vi furono Fëdor Dostojeskij, Joyce, Goldoni, Shakespeare, Molière, Mallarmé e molti altri. Nel 1925, lasciato il sanatorio, recatosi a Bressanone per la convalescenza inizierà a scrivere Gli indifferenti. Nel '29, dopo non poche difficoltà, riuscì a pubblicare a sue spese (5.000 Lire dell'epoca) presso l'editore milanese Alpes il suo primo romanzo, Gli indifferenti, che ottenne subito da parte della critica buoni consensi e venne considerato uno degli esperimenti più interessanti di narrativa italiana di quel tempo.
Gli indifferenti
Regia: Francesco Maselli
Assistenti alla regia: Rinaldo Ricci, Biagio Proietti
Sceneggiatura: Suso Cecchi d'amico, Francesco Maselli
Fotografia: Gianni Di Venanzo
Montaggio: Ruggero Mastroianni, Wanna Olasio
Musica: Giovanni Fusco, Carlo Savina
Scenografia: Luigi Scaccianoce, Riccardo Piselli
Costumi: Marcel Escoffier, Enrico Sabbatini
Cast: Claudia Cardinale, Rod Steiger, Shelley Winters, Tomas Milian, Paulette Goddard, Consalvo Dell'arti, Adriana Facchetti, Aurelio Marconi, Bruno Scipioni
Origine: Francia/Italia, 1964 b/n
Durata: 86'
“Gli indifferenti” è un dramma borghese che mette in scena due giorni della vita di una famiglia, composta da Mariagrazia Ardengo, vedova, con i due figli ventenni Carla e Michele, più l’amante della madre, Leo Merumeci.
Gli Ardengo sono sull’orlo della crisi economica e l’avido Leo ne approfitta: dopo aver dilapidato il patrimonio di Mariagrazia, ora vuole prendersi anche la villa di famiglia, approfittando della scadenza di un’ipoteca. Quel che i figli vedono, vale a dire che l’uomo è un avventuriero che sfrutta la madre per il suo bieco interesse, la donna non vuol sapere, accecata dalla passione amorosa e dalla gelosia. I cinque, riuniti all’ora di cena, ripetono una recita sempre uguale di ipocrisia e monotonia, di noia: i figli che fingono di non sapere che Leo è l’amante della madre, i due che si danno del lei, Carla che accetta le avances di Leo pensando che forse il massimo dell’abiezione può essere comunque una via di uscita da tanta mediocrità, Leo che fa buon viso a cattivo gioco sopportando le lamentele di Mariagrazia per arrivare alla figlia. Solo Michele tenta di ribellarsi, vorrebbe compiere “un gesto” risolutore, ma è sopraffatto dalla sua indifferenza.
Il romanzo propone i temi principali della narrativa di Moravia: il comportamento sessuale ed il rapporto con il denaro come chiave interpretativa della realtà umana e la rappresentazione della debolezza della volontà, malattia esistenziale che condanna all’”indifferenza”, segno del degrado del “buon senso”. Da qui la critica al mondo borghese, che è un effetto e non lo scopo dell’autore: “Se per critica antiborghese s’intende un chiaro concetto classista, niente era più lontano dal mio animo in quel tempo – afferma Moravia a proposito del suo primo romanzo – Essendo nato e facendo parte di una società borghese ed essendo allora borghese io stesso, ‘Gli indifferenti’ furono tutt’al più un modo per farmi rendere conto di questa mia condizione. […] Che poi sia risultato un libro antiborghese è tutta un’altra faccenda. La colpa o il merito è soprattutto della borghesia”. Il libro fu sottoposto a censura per la sua "decadenza" in contrapposizione ai valori marziali ed eroici propagandati dal regime.
Dal romanzo di Moravia sono stati tratti due film: questo di Maselli ed uno di Mauro Bolognini nel 1987 con Liv Ullmman e Peter Fonda.
Il disprezzo
Titolo originale: Le Mépris
Regia: Jean-Luc Godard
Sceneggiatura: Jean-Luc Godard
Fotografia: Raoul Coutard
Montaggio: Agnès Guillemot, Lila Lakshmanan
Musiche: Georges Delerue
Interpreti e personaggi: Brigitte Bardot (Camille Javal), Michel Piccoli (Paul Javal),
Jack Palance (Jeremy Prokosch), Fritz Lang (se stesso), Georgia Moll (Francesca Vanini)
Produttore: Georges de Beauregard, Carlo Ponti, Joseph E. Levine
Origine: Francia/Italia, 1963
Durata: 103'
Pubblicato per la prima volta nel 1954 da Bompiani, Il disprezzo nasce prevalentemente come romanzo psicologico. Ancora una volta il contesto sociale è quello della Roma medio borghese degli anni ’50. Protagonista è uno scrittore di sceneggiature i cui rapporti con la moglie si illuminano e si complicano a contatto con il mondo della produzione cinematografica, della carriera e del successo. A differenza de "L'amore coniugale" che racconta la storia di un tradimento, "Il disprezzo" muove da un dato positivo, un caso di fedeltà matrimoniale, per chiarirne tutta la natura di illusione, di reale sconfitta e di profonda, modernissima contraddizione.
Il giudizio di Godard sul romanzo non è affatto benevolo: "un vulgaire et joli roman de gare (un volgare e grazioso romanzo da leggersi in treno) pieno di sentimenti classici e fuori moda, nonostante la modernità delle situazioni. Ma proprio con questo genere di romanzi spesso si girano buoni film".
Ciò che interessa al regista è quindi, ancora una volta, il dato di partenza. Convinto com’è che filmare è atto creativo immediatamente diverso dallo scrivere, Godard non si affanna ad insistere in un’analisi di sentimenti. Il disprezzo provato da Camilla per il marito è utilizzato dal regista per creare un clima equivoco intorno ad un discorso sul cinema, su chi lo fa fuori e dentro il film. "Il soggetto del Disprezzo sono persone che si guardano e si giudicano, per poi essere a loro volta guardate e giudicate dal cinema, rappresentato da Fritz Lang che interpreta se stesso: insomma la coscienza del film e la sua onestà". Non a caso il film si apre con queste parole che citano André Bazin: "il Cinema sostituisce al nostro sguardo il mondo che desideriamo", "il disprezzo è la storia di questo mondo".
L’edizione italiana del film non viene riconosciuta da Godard che in un'intervista concessa alla rivista Filmcritica esemplificava le manomissioni operate da Ponti sull’edizione italiana: il dialogo in presa diretta è stato sostituito dal doppiaggio che non tiene conto del fatto che ogni personaggio parla la sua lingua originale rendendo necessario l’intervento della traduttrice; il montaggio ha eliminato numerosi piani ed ha invertito le due scene finali incidendo sul “significato” stesso del film; il colore è stato alterato; la musica volutamente classicheggiante di Delerue è stata sostituita da quella di Piccioni, il quale l’ha naturalmente inserita dove e come gli pareva senza l’opinione di Godard.
Piccola nota: la bellissima casa che appare nella parte girata a Capri è villa Malaparte, progettata, ideata e costruita da Adalberto Libera per Curzio Malaparte. A Roma sono visibili varie opere di Adalberto Libera, tra queste il palazzo delle poste in via Marmorata ed il palazzo dei Congressi all'EUR.
Risate di gioia
Regia: Mario Monicelli
Soggetto: Suso Cecchi d'Amico
Sceneggiatura: Age, Scarpelli, Suso Cecchi d'Amico, Mario Monicelli
Montaggio: Adriana Novelli
Fotografia: Leonida Barboni
Musica: Lelio Luttazzi
Interpreti e personaggi: Totò (Umberto Venazzù detto Infortunio), Anna Magnani (Gioia detta Tortorella), Ben Gazzara (Lello), Fred Clark (l'americano), Edy Vessel (Milena), Mac Roney (il guidatore della metropolitana), Toni Ucci (l'amico di Milena), Carlo Pisacane (il nonno di Gioia), Fanfulla (Spizzico)
Produzione: Silvio Clementelli per Titanus
Origine: Italia, 1960 b/n
Durata: 106'
Nella notte di San Silvestro Gioia Pennicotti (A. Magnani), che fa la comparsa a Cinecittà dove è chiamata Tortorella, incontra casualmente il vecchio amico Umberto Pennazzutto (Totò) detto Infortunio, ridotto a far da palo al ladro Lello (B. Gazzara). Per un equivoco Tortorella crede che Lello voglia corteggiarla e finisce in prigione al suo posto.
Tratta da due racconti (Le risate di Gioia, Ladri in chiesa) di Alberto Moravia, sceneggiato da Suso Cecchi D'Amico, Age & Scarpelli, è una notturna commedia buffa dai risvolti tristi che contano e pesano più della facciata, appoggiata a due malinconici personaggi di vinti dalla vita cui si aggiunge Lello, diseredato come loro, ma più lucido e ribelle. M. Monicelli dosa con sapienza comicità e amarezza, crepuscolarismo e satira di costume, affidandosi al godibilissimo duetto di una Magnani bionda e bravissima e di un Totò in grande forma. Gazzara, americano di origine abruzzese, s'inserisce agevolmente tra i due. Il film prodotto dalla cooperativa "Film Cinque" (di cui fanno parte lo stesso Monicelli, Comencini, Age e Scarpelli) è un mezzo fallimento commerciale. Anna Magnani reduce da film americani e da un Oscar con "La rosa tatuata" si mostrò perplessa a girare un film con Totò da molti consideraro un guitto. "Penso che intanto la coppia non fosse molto bene assortita, perché avevano tutti e due una forte personalità, e tentavano di sormontarsi l'un l'altra. Poi era probabilmente un po' sorpassato quel genere di film, quel soggetto." (Monicellii)
A dispetto di queste critiche rimane uno dei film più belli, più intensi e più sottovalutati del periodo.
Una curiosità: è l'ultima collaborazione tra Monicelli e Totò ed è l'unico film in cui recitano insieme Totò e la Magnani, vecchi compagni d’avanspettacolo.
Il conformista
Regia: Bernardo Bertolucci
Soggetto:Alberto Moravia
Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia
Fotografia: Vittorio Storaro
Scenografia: Ferdinando Scarfiotti
Costumi: Gitt Magrini
Musica: George Delerue
Montaggio: Franco Arcalli
Personaggi e interpreti: Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant), Giulia (Stefania Sandrelli), Anna Quadri (Dominique Sanda), Lino Seminara (Pierre Clémenti), Prof.Quadri (Lino Seminara), Manganiello (Gastone Moschin), Italo (Josè Quaglio)
Durata: 117'
Prodotto da: Mars (Roma) Marianne (Parigi)
Origine: Italia, 1970
Il romanzo, pubblicato nel 1951, è il ritratto di un personaggio e di un atteggiamento morale caratteristici del nostro tempo: il conformista e il conformismo. L'eroe contemporaneo, secondo Moravia, è l'uomo che vuole confondersi, essere uguale a tutti. Ma, in tutti i tempi, l'ingresso in società comporta un prezzo molto alto da pagare, soprattutto in termini di libertà individuale.
Questo film è una temperatura delle tinte, delle atmosfere. È un magnifico affresco su quel tempo particolare di una società che è la crisi di un regime. Gramsci scriveva nei Quaderni del carcere: dell’emergere, nel crepuscolo delle dittature, di «fenomeni morbosi» che attraversano non solo il corpo sociale collettivo, ma anche la coscienza degli individui. Il conformista è uno dei rari casi di film più affascinanti del romanzo che li ha generati. Qui, attraverso il personaggio di Jean-Louis Trintignant, un assassino che non lo è ma lo diventa, un viscido opportunista, disposto a vendere gli affetti più cari, si entra in quella temperatura della storia in cui i sentimenti, i valori, l’etica non contano più nulla. Il film, come i migliori di Bertolucci, è segnato da un colore delle immagini, voluto da Storaro, che assomiglia all’autunno. Autunno delle ragioni dell’esistenza travolte nel grande disordine in cui le gerarchie vengono rifatte e al primo posto, improvvisamente, c’è la salvaguardia della propria vita. L’atmosfera è quella rarefatta e letteraria del grande romanzo italiano. Bertolucci girerà lo splendido Strategia del ragno, e quel capolavoro che, per me, è Novecento. Il fascismo gli appariva fine e inizio. Fine di un incubo, inizio di una speranza. Un grande film. Da non dimenticare, specie oggi.
WV da "Certi piccoli amori". Dizionario sentimentale di film, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1994