Storie scellerate

Regia: Sergio Citti
Soggetto: Sergio Citti, Pier Paolo Pasolini
Sceneggiatura: Sergio Citti, Pier Paolo Pasolini
Montaggio: Nino Baragli
Fotografia: Tonino Delli Colli
Scenografia: Dante Ferretti
Costumi: Danilo Donati
Musiche: Francesco De Masi
Interpreti e personaggi: Silvano Gatti (Duca di Ronciglione), Enzo Petriglia (Nicolino), Sebastiano Soldati (Il papa), Santino Citti (Il Padreterno), Giacomo Rizzo (Don Leopoldo), Gianni Rizzo (Il cardinale), Ennio Panosetti (Chiavone), Oscar Fochetti (Agostino), Fabrizio Mennoni (Cacchione), Elisabetta Genovese (Bertolina), Franco Citti (Mammone), Ninetto Davoli (Bernardino), Nicoletta Machiavelli (Caterina di Ronciglione)
Produzione: Italia, 1973
Durata: 93 min

 

 

Nella Roma papalina dell'Ottocento Bernardino e Mammone vengono catturati e condannati a morte per aver ucciso e derubato un uomo. In cella i due raccontano alcune storie per scontare le ore che li separano dal patibolo ...

L’idea originale era quella di usare due novelle del Boccaccio, già sceneggiate da Citti e Pasolini per il Decameron ma poi tagliate in sede di realizzazione. Quando Pasolini decide di non girare il film ma di passare la regia a Citti, che aveva già ben debuttato in Ostia, l’idea si modifica radicalmente e il taglio del racconto si fa molto più estremo. Pare che l’idea venga al produttore Alberto Grimaldi che vuole sfruttare il successo commerciale del Decameron e, per far questo, suggerisce di cambiare ambientazione: non più quell’età intermedia tra Medio Evo e Rinascimento ma la Roma papalina (1800), così come la fonte del racconto non è Giovanni Boccaccio ma Matteo Bandello.

Storie scellerate esce in pieno periodo decamerotico, ma se ne distacca nettamente. E' un film molto curato da un punto di vista scenografico e fotografico, girato da una troupe pasoliniana che vede all’opera gente come Nino Baragli (montaggio), Tonino Delli Colli (fotografia), Dante Ferretti (scenografo) e Francesco De Masi (musica). Soggetto e sceneggiatura sono di Pasolini e Citti, ormai coppia affiatata, che si abbeverano alla fonte del Bandello per legare tra loro storie di mogli traditrici, mariti sciocchi e frati impenitenti, con un taglio cupo e sanguigno che lo rende ben diverso dai prodotti cinematografici pensati dopo il Decameron. Non esiste sesso gioioso e ilare nel film di Citti: tutto finisce nel sangue e in qualche aberrante evirazione, sono storie senza speranza, che soltanto nel finale lasciano aperto uno spiraglio, quando Dio concede la salvezza soltanto a chi dimostra di rimpiangere la vita. La risata di Franco Citti e Ninetto Davoli, un vero e proprio sghignazzo irrefrenabile prima dell’impiccagione, salva il film dal cupo pessimismo di cui è intriso.

"Sergio Citti crede solo, come personaggi, negli uomini e nelle donne che non credono, come lui: e che quindi vivono nel mondo come in una ridicola mascherata, o in un deserto, o, appunto, in una città crollata o crollante. Roma intorno è un nulla chimerico e spregevole. I personaggi vi si muovono sapendolo. Non si aspettano assolutamente ‘niente' dalla società. Si arrangiano come possono, prendono dalla vita quello che riescono. È il loro pessimismo assoluto e totale che consente loro di essere allegri. Proprio come Sergio Citti" (Pier Paolo Pasolini).