Mamma Roma

Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti
Fotografia: Tonino Delli Colli
Scenografia: Flavio Mogherini
Musica: Antonio Vivaldi (coordinatore alla musica: Carlo Rustichelli)
Montaggio: Nino Baragli
Interpreti e personaggi: Anna Magnani (Mamma Roma), Ettore Garofolo (Ettore), Franco Citti (Carmine), Silvana Corsini (Bruna), Luisa Orioli (Biancofiore)
Produzione: Alfredo Bini per l'Arco Film
Origine: Italia, 1962
Durata: 114'
Roma Garofalo, detta Mamma Roma, è una prostituta che decide di cambiare vita e di riprendersi il figlio Ettore, vissuto a Guidonia in pensione. La donna ha comperato una casa di nuova costruzione e ha preso la licenza per un banco di frutta al mercato con l'intenzione di dare inizio ad una nuova vita con Ettore. L'ambizione di Roma è inserire suo figlio nella cosiddetta società "perbene" ma lui, rimasto analfabeta e senza aver imparato alcun mestiere, si mette nei guai ...
Il film viene proiettato alla XXIII mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il 31 agosto 1962: il tenente colonnello comandante il gruppo locale dei carabinieri lo denuncia per oscenità. Le oscenità consistono nell'uso del verbo "pisciare", della parola "merda", e nel risuonare, lungo la colonna rumori, di alcune pernacchie.
Il magistrato competente, il 5 settembre, giudica infondata la denuncia e improponibile l'azione penale.
Di prosa e di poesia
Nelle grandi opere di Chaplin, di Mizoguchi, di Ingmar Bergman, "non si sente" la macchina da presa: non sono girate secondo i canoni del "cinema di poesia". E il fatto che non si senta la macchina da presa significa che il linguaggio aderisce ai significati mettendosi al loro servizio, è trasparente, non si sovrappone ai fatti. Questo vuol dire che quei film non sono poesie ma racconti: il cinema classico è stato ed è narrativo, la sua lingua è quella della prosa. La poesia è al suo interno, come in Cechov.
Cito a memoria Pasolini riassumendo il concetto più accessibile (e semplificato) del suo saggio sul "cinema di poesia" apparso all'epoca di Uccellacci e uccellini.
Perché mi viene in mente adesso? Perché ho rivisto da poco Mamma Roma e mi sono tornate in mente certe domande un pò confuse alle quali mi piacerebbe un giorno o l'altro saper dare delle risposte.
La prima domanda è questa: fino a che punto un regista può conciliare le proprie scelte con le esigenze di chi lavora insieme a lui e ha nel film un ruolo creativo almeno pari al suo? In parole povere: che cosa succede quando un temperamento come quello di Anna Magnani impone le sue ragioni a quelle sacrosante di Pier Paolo Pasolini? Se l'autore ha il dominio sul linguaggio (e guai se non succede), ha diritto l'interprete di rivendicare il proprio e di pretendere che sia rispettato con le buone o le cattive?
Durante la lavorazione di Mamma Roma ci furono tensioni tra il regista e l'attrice e nessuno dei due alla fine fu contento del risultato (e qui sbagliavano entrambi ...). Ma non erano le normali divergenze sull'impostazione del personaggio, sul peso di una battuta, sul significato di un gesto. Riguardavano più direttamente il rapporto con la macchina da presa, cioè il campo della messa in scena. La Magnani lamentava un eccesso di frammentazione nelle riprese, che non le si lasciasse il tempo adeguato per esprimersi, che si "tagliasse" troppo e nel momento meno opportuno. Pasolini dal canto suo non voleva da lei un approccio viscerale al carattere della protagonista, aveva l'impressione che la grande attrice abusasse del proprio istinto, tendesse al belcanto. Il che stonava nel quadro complessivo, non solo per la presenza al suo fianco di attori non professionisti, ma perché in contrasto con lo stile composito, pittorico, antinaturalistico del film.
Di solito si porta l'esempio di Bellissima per dire qual era il modo giusto per mettere in risalto l'arte della Magnani. Visconti le costruì addosso ogni singola inquadratura e si vede. Lei ne fu contenta e anche noi. Ma era ancora l'antica lingua della prosa. Invece Mamma Roma fu alla sua uscita un film così nuovo da sconcertare persino chi l'aveva concepito e interpretato. Ed è cresciuto nel tempo, è uno dei vertici di Pasolini regista, la creazione più forte di Anna Magnani.
Gianni Amelio da "Film tv" n.48 - dicembre 2007
Lo so, sono la donna più discontinua del mondo. Tutto cambia dentro di me da un'ora all'altra. Il fatto è che seguo sempre il mio istinto e il mio cuore. Non mi curo mai di quello che sembro, di come gli altri mi vedono. Sono così, come la mia vita, le mie speranze, le mie delusioni, le mie gioie e le mie infelicità mi hanno fatta. Lo sono senza riserve e senza ipocrisie. Nella vita però tutto mi emoziona, tutto mi commuove, mi fa tenerezza e mi spinge alla generosità. Ma nel lavoro, lo riconosco, sono una peste. Qualche volta posso anche diventare cinica, cattiva, spietata. Non ammetto che si bari, che si truffi, che si cerchi di dare a intendere di saper fare una cosa se non è vero. Io, il mio mestiere, l'ho sudato e sofferto. Ho impiegato molto tempo, e ho faticato per diventare la Magnani. Ora sudo e fatico per continuare a esserlo.
Anna Magnani